Nat Med. 2020 Oct;26(10):1636-1643. doi: 10.1038/s41591-020-1051-9. Epub 2020 Aug 24.
Alessandro Tomelleri, U.O. di Immunologia, Reumatologia, Allergologia e Malattie Rare, IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano
Nel lavoro presentato, gli Autori hanno dosato i valori delle principali citochine infiammatorie al momento del ricovero in pazienti affetti da COVID-19 ospedalizzati all’ospedale Mount Sinai Health System di New York City (NY) tra fine marzo e fine aprile 2020. Un totale di 1.484 pazienti è stato incluso nello studio. Le citochine dosate sono interleuchina IL-1b, IL-6, IL-8, e il fattore di necrosi tumorale (TNF)-α. Il dosaggio di tali citochine è stato realizzato utilizzando un test rapido (piattaforma ELLA).
Gli autori hanno evidenziato un incremento significativo dei valori di IL-6, IL-8, e TNF-α rispetto a due gruppi di controllo (volontari sani e pazienti trattati con terapia con CAR-T cells senza sindrome da rilascio citochinico). Come prevedibile alla luce della nota difficoltà correlata al suo dosaggio, i valori di IL-1b sono risultati perlopiù bassi, al limite del valore minimo di misurazione.
Per quanto riguarda la correlazione tra i valori delle citochine infiammatorie e i principali dati anamnestici, i livelli di IL-6 sono risultati significativamente superiori negli uomini rispetto alle donne e incrementavano all’aumentare dell’età; inoltre, i livelli di TNF-α erano significativamente più elevati nei pazienti affetti da insufficienza renale cronica.
Per quanto riguarda la prognosi, gli autori hanno dimostrato come livelli sierici elevati di IL-6, IL-8 e TNF-α al momento del ricovero siano predittori indipendenti e significativi di sopravvivenza del paziente. Dopo aggiustamento per la gravità della malattia, per i principali marker di infiammazione, per l’ipossia e altri segni vitali, per i dati demografici e per le principali comorbidità, i livelli sierici di IL-6 e TNF-α sono rimasti predittori indipendenti e significativi di gravità di malattia e morte. Peraltro, tali risultati sono stati convalidati in una seconda coorte di pazienti (n = 231).
Infine, gli autori hanno valutato gli effetti dei principali trattamenti sui valori delle citochine in studio. È interessante sottolineare come, tra i corticosteroidi, il desametasone è stato quello che ha determinato la riduzione di IL-6 più elevata, dato questo che potenzialmente supporta i risultati dello studio RECOVERY sul beneficio clinico di tale farmaco in pazienti ospedalizzati con malattia grave.
Quello qui presentato rappresenta certamente il lavoro scientifico che mette in relazione in maniera più solida e significativa il grado di infiammazione sistemica con la prognosi dei pazienti affetti da COVID-19. I risvolti clinici dei suoi risultati sono potenzialmente numerosi. Si potrebbe pensare di utilizzare i valori di IL-6 e TNF-α (utilizzando uno strumento rapido e affidabile di misurazione come quello proposto dagli autori dello studio) per stratificare i pazienti COVID-19 al momento della prima valutazione e allocarli a diversi livelli di cura. Tale stratificazione inoltre potrebbe essere introdotta anche nei trial clinici prospettici in modo da valutare la risposta a un determinato farmaco in diversi gruppi stratificati per il livello di infiammazione sistemica.
Il lavoro qui presentato gode di numerosi punti di forza, tra cui una metodologia statistica rigorosa e un numero di pazienti significativo. Inoltre, il fatto che i pazienti provengano tutti dallo stesso Centro e siano stati ricoverati durante un intervallo di tempo molto ristretto rende il campione piuttosto omogeneo. Certamente, i dati qui presentati gioverebbero di una conferma attraverso una valutazione prospettica, che garantirebbe un maggior controllo sui dati raccolti.