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ImmunologiaPediatriaReumatologia

Classificazione delle malattie autoinfiammatorie indifferenziate: oltre l’analisi genetica

Febbraio 2021

La misurazione dell’interferon signature e il profilo citochinico rivestono un valore diagnostico supplementare nell’impegnativa valutazione dei pazienti con malattie autoinfiammatorie indifferenziate.

J Clin Invest. 2020;130:1669-1682

Silvia Federici, U.O.C. di Reumatologia, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma

 

Il campo delle malattie autoinfiammatorie è forse uno dei campi in maggiore espansione nell’ambito della reumatologia negli ultimi anni. Grazie soprattutto al miglioramento delle tecniche di analisi genetica a partire dal 1997, data dell’identificazione del primo gene responsabile per la Febbre familiare mediterranea (FMF), molti altri geni responsabili di altrettante condizioni sono stati identificati portando alla scoperta di oltre 40 nuove malattie autoinfiammatorie. Tuttavia per alcuni pazienti che presentano chiare stigmate infiammatorie non è sempre possibile arrivare a una diagnosi nonostante indagini genetiche estese. Questi pazienti vengono così classificati come affetti da forme indifferenziate con importanti conseguenze soprattutto in termini di trattamento.

Inizialmente l’identificazione di mutazioni a carico di inflammasomi attivanti IL-1 (inclusi NLRP3 e pirina) e l’ottima risposta clinica a terapie inibenti IL-1, ha suggerito un ruolo fondamentale di questa citochina nella patogenesi di diverse condizioni. Più recentemente è stato identificato un sottogruppo di malattie, le cosiddette interferonopatie, in cui è l’interferone (IFN) di tipo 1 o di tipo 2 ad avere un ruolo patogenetico dimostrato anche dalla risposta clinica a seguito di terapie mirate all’inibizione di queste vie.

Nel 2016 Yanick Crow ha messo a punto un test in grado di misurare l'espressione di un pannello di geni stimolati dall'interferone (interferon signature) che risulta appunto aumentato nei pazienti con interferonopatia.

La dimostrazione dell’attivazione delle via interferonica documentata da un aumento dell’IFN signature potrebbe pertanto giustificare l’utilizzo di terapie specifiche anche nei pazienti indifferenziati.

In questo lavoro gli Autori hanno screenato 66 pazienti con malattia autoinfiammatoria indifferenziata tramite la misurazione dell’interferon signature, il profilo citochinico e una estesa analisi genetica utilizzando tecniche di sequenziamento di nuova generazione.

Il 55% (36/66) dei pazienti ha mostrato un’elevata interferon signature con una netta prevalenza, rispetto ai pazienti con IFN signature negativa, di sintomi caratteristici delle interferonopatie quali una panniculite neutrofilica (40% vs 0%), calcificazioni cerebrali a livello dei gangli della base (46% vs 0%), una malattia polmonare interstiziale (47% vs 5%) e la miosite (60% vs 10%). Anche da un punto di vista laboratoristico questi pazienti hanno presentato una maggiore prevalenza di linfopenia, anemia e autoimmunità.

La fenotipizzazione clinica completa di questi pazienti associata alle analisi effettuate, ha permesso agli Autori di identificare 3 nuove malattie autoinfiammatorie: la proteinosi alveolare polmonare (PAP) associata a IL-18 e sindrome da attivazione macrofagica ricorrente (IL-18PAP-MAS) in 8 pazienti, la sindrome autoinfiammatoria associata all'esone 5 con eliminazione NEMO (NEMO-NDAS) in 4 pazienti e la malattia autoinfiammatoria associata a SAMD9L (SAMD9L-SAAD) in 6 pazienti. E’ stato inoltre possibile raggruppare altri 16 pazienti in cluster omogenei e per alcuni di essi si è potuto porre diagnosi di interferonopatia geneticamente confermata (1 Aicardi-Goutierres, 3 CANDLE, 2 dermatomiositi con anticorpi ani-MDA5).

Questa classificazione associata al riscontro di una IFN-signature elevata ha permesso l’avvio di una terapia con farmaci inibitori della Janus chinasi in 15 di essi.

In conclusione gli autori dimostrano che questo tipo di approccio può rappresentare un’arma utile per la classificazione di pazienti con malattia autoinfiammatoria indifferenziata che può giustificare l’avvio di una terapia mirata basata sull’evidenza dell’attivazione di uno specifico meccanismo patogenetico.

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