Eur J Rheumatol. 2022 Feb 14. doi: 10.5152/eurjrheum.2022.21135.
Silvia Federici, U.O.C. di Reumatologia, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma
Nonostante siano stati fatti grandi progressi nella classificazione delle malattie autoinfiammatorie (SAID, systemic autoinflammatory diseases), molti pazienti non sono classificabili in nessuna sindrome clinicamente o geneticamente definita. Questi pazienti, che rappresentano circa il 50% dei pazienti con SAID, vengono classificati come affetti da una malattia autoinfiammatoria sistemica non definita (uSAID). I pazienti affetti da uSAID sono spesso difficili da gestire in quanto non esistono linee guida o raccomandazioni per il loro trattamento che spesso è empirico e basato sull’esperienza e il giudizio del clinico. In questo lavoro gli autori hanno valutato l ’efficacia del trattamento empirico con colchicina in una popolazione monocentrica di 133 pazienti pediatrici (<18 anni) affetti da uSAID e hanno analizzato la presenza di fattori clinici possibilmente in grado di predire la risposta a tale terapia.
La colchicina, approvata per il trattamento della gotta e della febbre familiare mediterranea, è un farmaco facilmente disponibile, a basso costo e con un buon profilo di sicurezza per cui viene spesso utilizzata come terapia empirica nei pazienti con uSAID. Il meccanismo d'azione sembra derivare da un’alterazione della dinamica dei microtubuli e dell’espressione delle molecole di adesione, che determina una riduzione del trafficking dei neutrofili e downregolazione delle vie pro-infiammatorie (es. l’inflammosoma NLP3).
I dati a supporto del suo utilizzo in altre malattie autoinfiammatorie come la M. di Behçet e le vasculiti cutanee sono numerosi.
Nello studio sono stati arruolati pazienti con uSAID che hanno ricevuto un trattamento empirico con colchicina per almeno 3 mesi. Per la diagnosi di uSAID, i pazienti non potevano soddisfare i criteri clinici o clinici/genetici per le malattie autoinfiammatorie recentemente pubblicati (Gattorno et al 2019).
La risposta alla terapia è stata definita come completa (risoluzione completa degli episodi o attività minima persistente che non necessitava di ulteriori terapie), parziale (diminuzione della frequenza, gravità o durata degli episodi che richiedevano comunque una terapia aggiuntiva), non risposta (in caso di nessun miglioramento).
Per l'intera coorte, la durata mediana degli episodi era di 4 giorni con un intervallo mediano tra gli episodi di 28 giorni. I sintomi più frequenti durante le riacutizzazioni erano febbre (95,5%), dolore addominale (51,9%), cefalea (39,8%), affaticamento (36,1%), artralgia (36,1%) e rash (33,8%). In 108/133 bambini (81,2%) è stato eseguito un test genetico (pannello per malattie autoinfiammatorie o intero esoma clinico); in molti pazienti sono state riscontrate varianti di incerto significato clinico che non spiegavano completamente il fenotipo (soprattutto a carico del gene MEFV).
Complessivamente, 10 pazienti non hanno avuto una risposta (7,5%), 62 hanno mostrato una risposta parziale (46,6%) e 61 (45,9%) hanno avuto una risposta completa alla terapia.
Analizzando le caratteristiche cliniche dei pazienti inclusi nella coorte, gli autori hanno riscontrato un'associazione significativa tra la presenza di rash e una risposta incompleta alla colchicina (41,7% vs 24,6%, p 0.038), in particolare se si trattava di un rash non orticarioide (29,2% vs 13,1%, p 0.025). Questa associazione era ancora più pronunciata nei pazienti che non erano portatori di varianti sul gene MEFV (85,7% vs 50,6 %).
Anche la presenza di aftosi orale risultava associata, anche se in maniera non significativa, a una risposta incompleta alla colchicina (38,9% vs 24,6%, p 0,08). La presenza di una mutazione in eterozigosi nel gene MEFV sembrava invece associata a una maggiore probabilità di avere una risposta completa, sebbene anche questa non avesse significatività statistica (62,5% vs 42,6% p 0.08). Tra i pazienti eterozigoti per MEFV quelli con una risposta incompleta erano prevalentemente portatori della variante E148Q.
Globalmente lo studio ha pertanto dimostrato che il 92,5% dei pazienti con uSAID ha avuto una risposta favorevole alla terapia, con quasi la metà dei pazienti che ha presentato una risposta completa. La colchicina è stata ben tollerata, in particolare se iniziata a una dose più bassa e titolata fino alla dose terapeutica.
Uno dei principali punti di forza dello studio è sicuramente il numero di pazienti; mentre un limite intrinseco allo studio di pazienti con malattie autoinfiammatorie indefinite è la mancanza di criteri diagnostici e la dipendenza dal giudizio clinico del medico curante.
Tuttavia, nel complesso i risultati dello studio supportano l'utilizzo precoce della colchicina nei pazienti con uSAID, poiché generalmente porta a una risposta parziale, se non completa, ed è poco costosa e ben tollerata.