RMD Open 2021;7:e001470
Nicoletta Luciano, U.O. di Reumatologia e Immunologia clinica IRCCS Humanitas Research Hospital, Rozzano (MI)
Negli ultimi anni un numero crescente di studi ha supportato l’esistenza di una stretta correlazione tra i meccanismi di infiammazione cronica, l’aterosclerosi accelerata ed il conseguente aumento del rischio cardiovascolare. Più di recente è nato anche il concetto di “inflammaging” (“inflammation” + “ageing”) ad opera di Franceschi et al., termine che descrive la cronica infiammazione di basso grado associata al processo di invecchiamento ed evidenziabile anche in soggetti di età avanzata perfettamente sani.
Durante la senescenza, si assiste ad un graduale rimodellamento vascolare con incremento della rigidità di parete arteriosa (arterial stiffness) e ad una riorganizzazione del sistema immunitario in senso pro-infiammatorio; gli stessi cambiamenti sono osservati in corso di patologie autoimmuni sistemiche, in particolare nell’artrite reumatoide (AR). Invecchiamento ed infiammazione condividono dunque un pattern citochinico molto simile (ad es. con aumento di IL-1, IL-6 e TNF-alfa, metallo-proteinasi) cui conseguono eventi quali la disfunzione endoteliale e l’ispessimento intimale.
Partendo da questa ipotesi, attraverso una revisione non sistematica della letteratura, questi autori hanno evidenziato come i pazienti con AR, rispetto ad una popolazione di controllo di pari età non affetta da patologia autoimmune sistemica, siano caratterizzati da un incremento significativo della cosiddetta velocità dell’onda sfigmica o di polso (Pulse Wave Velocity, PWV), espressione dell’elasticità arteriosa; in particolare una significativa correlazione è emersa tra il grado di infiammazione in corso di AR misurata con il DAS28 e l’aumento della PWV carotido–femorale.
Nei pazienti con AR, dunque, l’età vascolare stimata in base alla stiffness appare più alta rispetto ai soggetti sani della stessa età e questo accelerato invecchiamento vascolare è probabilmente secondario all’infiammazione cronica, andando di vari passo con gli indici di attività di malattia.
Questi dati trovano implicazioni nella gestione dei pazienti affetti da AR in quanto il trattamento della malattia oggi è sempre più personalizzato e tiene conto non solo della severità dell’artrite, ma anche delle comorbidità e dei possibili risvolti prognostici di ciascun intervento terapeutico.
In quest’ottica uno degli obiettivi deve essere la riduzione del rischio cardiovascolare, riducendo la flogosi articolare e sistemica con i farmaci di fondo ed intervenendo sugli effetti dell’inflammaging, per esempio associando statine in prevenzione primaria o secondaria.