Xie Y, et al. Nat Med. 2022;28(3):583-590.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/35132265/
Alessandra Vecchié, Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi, ASST Sette Laghi, Varese
In questo interessante articolo, pubblicato su Nature Medicine, gli autori analizzano il rischio di incidenza di eventi cardiovascolari nei 12 mesi successivi a infezione da SARS-CoV-2 in una coorte di pazienti sopravvissuti ai primi 30 giorni dalla diagnosi, confrontandola con due coorti di pazienti non affetti da COVID-19, una storica (risalente al 2017, epoca pre-COVID) ed una contemporanea alla coorte oggetto di studio. I gruppi sono stati creati utilizzando il database dello US Department of Veterans Affairs national healthcare e sono risultati composti da 153.760 soggetti con diagnosi di COVID-19, trattati al domicilio, ospedalizzati o ricoverati nelle terapie intensive, 5.637.747 controlli contemporanei alla coorte oggetto di studio e 5.859.411 controlli storici. Il follow-up mediano per le tre coorti (gruppo COVID-19, gruppo contemporaneo e gruppo storico) è stato rispettivamente di 347 (interquartile range 317-440), 348 (318-441) e 347 (317-440) giorni.
Gli autori hanno quindi confrontato l’incidenza di un pre-specificato gruppo di eventi cardiovascolari (Tabella 1) nei pazienti sopravvissuti al COVID-19 con la coorte dei controlli contemporanei. Hanno poi stimato l’eccesso di incidenza per 1.000 persone a 12 mesi degli eventi causati dall’infezione da SARS-CoV-2. Da queste due analisi emerge che i pazienti sopravvissuti al COVID-19 presentano un rischio aumentato di tutti gli eventi cardiovascolari analizzati (Tabella 1).
Da sottolineare che gli autori hanno eseguito analisi aggiuntive per aggiustare il rischio di incidenza di malattie infiammatorie cardiache (pericardite/miocardite) sulla base dell’esecuzione del vaccino per SARS-CoV-2. Si è confermato un incrementato rischio nel gruppo di pazienti COVID-19. È stato osservato come il rischio di incidenza di malattia cardiovascolare aumentasse progressivamente in base al setting di cura durante la fase acuta dell’infezione da SARS-CoV-2, essendo minore per i pazienti trattati al domicilio e massimo per coloro che hanno richiesto il ricovero in terapia intensiva.
L’incidenza degli eventi cardiovascolari compositi (malattia cerebrovascolare, aritmia, malattia infiammatoria cardiaca, malattia ischemica cardiaca, malattia trombo-embolica, MACE) è stata analizzata in diversi sottogruppi basati su differenti fattori di rischio (età, razza, sesso, obesità, fumo, ipertensione arteriosa, diabete mellito, malattia renale cronica, dislipidemia, malattia cardiovascolare). Anche queste analisi hanno confermato un incremento del rischio nei pazienti che avevano superato la malattia COVID-19 rispetto alla coorte contemporanea.
In conclusione, lo studio ha evidenziato come i pazienti che hanno superato l’infezione da SARS-CoV-2 presentano un aumentato rischio di malattia cardiovascolare nei 12 mesi successivi. Il rischio risulta incrementato indipendentemente dal setting di cura, ma è più elevato per coloro che hanno richiesto il ricovero in terapia intensiva. I meccanismi patogenetici alla base di questo rischio incrementato (non analizzati nel presente studio) possono essere molteplici e meritano sicuramente ulteriori indagini, anche per valutare eventuali trattamenti in grado di limitarne l’incidenza. Visto l’enorme numero di pazienti che in questi anni hanno contratto l’infezione da SARS-CoV2, l’incremento di rischio cardiovascolare in questa popolazione rappresenta un importante problema per il clinico e più in generale per i sistemi sanitari che si troveranno ad affrontare un aumento del carico di cura. Tale problema merita attenzione considerando da una parte il carico di malattia non diagnosticata che ci portiamo in eredità dal periodo più critico della pandemia (nel 2020 vi è stata una netta riduzione degli accessi ospedalieri per sindrome coronarica acuta, per esempio, solo per la paura di accedere in ospedale) e dall’altra l’enorme carico assistenziale ed economico che la pandemia da COVID-19 somma al già ben noto carico di malattia cardiovascolare, che continua ad essere tra le prime cause di morbidità e la prima causa di morte nel mondo.
Grazie alle maggiori conoscenze attuali, infatti, è importante ricordare che il COVID-19 non è da considerare una mera malattia respiratoria, ma piuttosto come una malattia vascolare sistemica che interessa l’endotelio - endoteliopatia - e che in quanto tale condivide alcuni aspetti fisiopatologici, primo fra tutti la disfunzione endoteliale, con la malattia cardiovascolare. Da un punto di vista terapeutico, è importante notare che alcune terapie cardine per la malattia cardiovascolare - ad esempio ACE-inibitori/sartani, aspirina - hanno mostrato effetti protettivi o neutri sugli eventi della malattia associata a SARS-CoV-2. COVID-19 è una patologia infettiva con alcune peculiarità che fanno sì che sia un ulteriore fattore di rischio per lo sviluppo di malattia cardiovascolare già nel medio termine.