De Matteis A, et al. Blood. 2022 Jul 21;140(3):262-273. doi: 10.1182/blood.2021013549.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/35500103/
Claudia Bracaglia, U.O.C. di Reumatologia, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma
La linfoistiocitosi emofagocitica (HLH) è una sindrome clinica caratterizzata da una attivazione incontrollata di cellule del sistema immune, responsabile di una iper-infiammazione sistemica e di insufficienza multi-organo e può essere fatale se non trattata in maniera adeguata. L’HLH può essere primaria o secondaria. L’HLH primaria (pHLH) è causata da difetti ereditari delle proteine coinvolte nei meccanismi di citotossicità di cellule natural killer (NK) e linfociti T citotossici. L’HLH secondaria (sHLH) invece può manifestarsi come complicanza di infezioni, di neoplasie, di immunodeficienze, di malattie autoinfiammatorie geneticamente definite (ad esempio quelle associate a mutazioni di CDC42 e NLRC4) e di malattie reumatologiche. In questo ultimo caso viene anche chiamata sindrome da attivazione macrofagica (MAS). Sebbene i meccanismi patogenetici e i trigger delle forme primarie e secondarie siano diversi, queste due forme di HLH presentano le stesse caratteristiche cliniche e le stesse alterazioni biochimiche ed immunologiche.
Recentemente, Chaturvedi e coll. (Blood. 2021;137:2337-2346) hanno dimostrato che i pazienti con pHLH o con HLH secondaria ad infezione hanno un'espansione delle cellule T CD38high/HLA-DR1CD81 attivate circolanti e la frequenza di queste cellule nel sangue periferico permette di distinguere in maniera affidabile questi pazienti da quelli con sepsi in fase iniziale.
In questo lavoro, De Matteis A, e coll. hanno analizzato al citofluorimetro cellule mononucleate isolate da sangue periferico di 74 pazienti di cui 17 con artrite idiopatica giovanile sistemica (AIGs) in remissione, 27 con AIGs in fase attiva, 14 con MAS nel contesto di una AIGs, 7 con HLH secondaria ad infezione, 9 con HLH secondaria ad altri trigger e 3 con pHLH. Tale analisi ha evidenziato che la percentuale di cellule T CD38high/HLA-DR1CD81 nei pazienti con MAS, con HLH secondaria ad infezione e nelle altre forme di sHLH è marcatamente più elevata rispetto ai pazienti con AIGs attiva o inattiva e questo dato non è influenzato dalla concomitante terapia glucocorticoidea. Inoltre l’analisi con curva ROC ha permesso di identificare la percentuale di linfociti T CD38high/HLA-DR1CD81 che consente di differenziare i pazienti con le diverse forme di sHLH (MAS, HLH secondaria ad infezioni e altre forme di HLH) da quelli con AIGs in fase attiva (AUC=0.94, P <0.001) e la percentuale di cellule che permette di distinguere i pazienti con MAS (AUC=0.96, P <0.001) e con sHLH (HLH secondaria ad infezione più le altre forme di HLH) dai pazienti con AIGs attiva (AUC=0.93, P <0.001).
Inoltre, l’analisi dell’immunofenotipo delle cellule periferiche mononucleate di questi pazienti ha evidenziato la presenza di un’alta percentuale di cellule T CD81 che coesprimono il CD4 (CD4dimCD81) nei pazienti con MAS e altre forme di sHLH rispetto ai pazienti con AIG s in fase attiva o inattiva. L’analisi con curva ROC ha definito la percentuale di cellule T CD4dimCD81 in grado di discriminare i pazienti con le varie forme di sHLH da quelli con AIGs in fase attiva (AUC=0.92, P <0.001). Inoltre, al fine di valutare se la percentuale di linfociti T CD4dimCD81 fosse aumentata anche nei pazienti con pHLH, la stessa analisi è stata condotta su cellule mononucleate da aspirato midollare di 3 pazienti con pHLH. Come già recentemente dimostrato, in questi pazienti, non solo gli autori hanno confermato la presenza di un’alta percentuale di cellule T CD38high/HLA-DR1CD81 ma hanno anche dimostrato un'alta percentuale di cellule T CD4dimCD81. Le cellule T CD4dimCD81 è dimostrato che esprimono alti livelli di IFNg e anche gli autori hanno trovato che la frequenza di cellule IFNg positive era significativamente più elevata tra i linfociti T CD4dimCD81 che tra i CD42CD81 provenienti sia da sangue periferico di pazienti con MAS che da midollo osseo di pazienti con pHLH.
Infine gli autori hanno valutato se i linfociti T CD81 attivati correlassero con i parametri di laboratorio di gravità di malattia nei pazienti con MAS. E in effetti i linfociti T CD38high/HLADR1CD81 correlano con diversi parametri di laboratorio quali la ferritina, l’emoglobina e l’LDH. Inoltre i linfociti T CD38high/HLA-DR1CD81 correlavano significativamente anche con i livelli circolanti di IL-18 (r=0.68, P< 0.008) ma non con quelli di CXCL9 (r=0.41, P<0.14), una chemochina indotta da IFNg. Al contrario i linfociti T CD4dimCD81 non solo correlavano con la maggior parte dei parametri di laboratorio di gravità di malattia quali ferritina, AST, LDH, trigliceridi e fibrinogeno e con IL-18 ma anche con i livelli sierici di CXCL9. In ultimo gli autori hanno valutato se i linfociti T CD81 attivati correlassero con la gravità di malattia ed hanno osservato che i linfociti T CD4dimCD81 ma non i CD38high/HLA-DR1CD81 correlavano in maniera significativa con lo score di severità clinica, costruito sulla base dei seguenti 4 parametri: (1) dose di glucocorticoidi; (2) durata della degenza; (3) ricovero in rianimazione; (4) morte.
Questi dati dimostrano come i linfociti T CD4dimCD81 non solo sono aumentati nei pazienti con MAS/sHLH ma correlano anche con la gravità di malattia e supportano fermamente il loro coinvolgimento nella patogenesi di MAS/sHLH.
In conclusione, i risultati di questo studio forniscono nuove informazioni rilevanti sulla fisiopatologia delle varie forme di sHLH e potrebbero anche rappresentare un semplice strumento diagnostico per l'identificazione precoce dei casi sospetti di MAS e HLH, indipendentemente dal trigger o dalla condizione sottostante. Inoltre questi dati suggeriscono anche una potenziale rilevanza prognostica dei linfociti T CD4dimCD81 nella sindrome MAS/HLH e supportano il razionale per nuove potenziali strategie terapeutiche mirate nei confronti dei linfociti T CD81 attivati.