Curr Rheumatol Rep. 2020 Jul 23;22(9):52.
Silvia Federici, U.O.C. di Reumatologia, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma
In questa review gli Autori descrivono le principali caratteristiche cliniche e laboratoristiche nonché i meccanismi eziopatogenetici e principi di terapia dei pazienti con osteomielite cronica non batterica. La osteomielite cronica non batterica (CNO) è una malattia autoinfiammatoria caratterizzata da lesioni ossee osteolitiche e iperostotiche/osteosclerotiche. È di natura cronica, ma l’andamento può essere variabile anche con lunghi periodi di remissione. Può presentarsi in forma monostotica (caratterizzata da una sola lesione ossea) o nella sua forma più grave multifocale (CRMO). L'infiammazione può interessare tutte le sedi dello scheletro con preferenza per le metafisi e le epifisi delle ossa lunghe, il cingolo scapolare, i corpi vertebrali e, più raramente, la mandibola.
La sintomatologia dolorosa osteoarticolare si può associare a tumefazioni articolari soprattutto in caso di lesioni iuxta-articolari. Fino al 20% dei pazienti con CNO sviluppa manifestazioni cutanee, tra cui pustolosi palmo-plantare, acne cistica e psoriasi e fino al 10% una malattia infiammatoria cronica intestinale. I pazienti mostrano in genere un aumento lieve/moderato dei parametri infiammatori ma ad oggi non vi sono test di laboratorio o biomarcatori specifici di malattia o cause genetiche note. La risonanza magnetica whole body è il gold standard per lo screening delle lesioni ossee e può essere utilizzata alla diagnosi o come strumento valido per un monitoraggio clinico nel tempo per valutare l'entità e la distribuzione delle lesioni e, quindi, la gravità della CNO al fine di guidare il trattamento. Nei pazienti che non presentano sintomi clinici e/o reperti radiologici conclusivi per CNO, è necessario effettuare una biopsia ossea in primis per escludere una neoplasia (tumori ossei primari, metastasi, linfomi, ecc.) o una istiocitosi a cellule di Langerhans. La coesistenza di infiltrati infiammatori "acuti" (neutrofili, macrofagi) con infiammazione cronica (caratterizzata da linfociti, plasmacellule e monociti) e/o sclerosi ossea, sono più comuni nella CNO rispetto ad altre condizioni ma non sono comunque specifici. Inizialmente la CNO è stata considerata di natura infettiva, tuttavia questo concetto è stato messo in discussione dopo l’evidenza di una mancata risposta a terapia antibiotica effettuata a lungo termine e l’impossibilità di conferma dell’isolamento batterico in biopsie ossee di pazienti anche con le più moderne tecniche microbiologiche.
Negli ultimi anni, il meccanismo molecolare alla base dell'infiammazione cronica è stato collegato a un fenotipo pro-infiammatorio dei monociti dei pazienti con aumentata espressione di interleuchina infiammatoria (IL) -1β, IL-6 e TNF-α e ridotta espressione di citochine immunoregolatorie quali IL-10 e IL-19 con squilibrio tra le vie pro e antinfiammatorie e conseguente infiammazione cronica dei tessuti, attivazione osteoclastica, distruzione ossea e, in alcuni casi, iperostosi e sclerosi ossea. Attualmente, nessun trattamento è approvato per la CNO. Tuttavia, vi è un consenso generale sul beneficio dei farmaci antinfiammatori non steroidei. Nei casi refrattari al trattamento con FANS, i pazienti possono trarre beneficio da brevi cicli di terapia con corticosteroidi.
In pazienti con pattern multifocale e/o coinvolgimento vertebrale, o nei pazienti con frequenti ricadute o risposta insufficiente ai FANS, possono essere utilizzati DMARD (come sulfasalazina o metotrexato), farmaci biologici (di solito farmaci bloccanti il TNF-α). Sulla base dell'attuale comprensione dei meccanismi fisiopatogenetici, anche gli agenti bloccanti IL-6 o IL-1 promettono un potenziale terapeutico come descritto in singoli casi riportati in letteratura.
L’utilizzo di bifosfonati è stato suggerito come trattamento di prima linea nel caso di coinvolgimento del rachide (soprattutto nel caso di fratture) e/o della mandibola e può essere anche utile nel trattamento di gravi casi di CNO multifocale.
Nei pazienti con prevalente coinvolgimento cutaneo è stato utilizzato con successo il secukinumab, un anticorpo neutralizzante l’IL-17A che ha presentato inoltre un effetto positivo sull'osteite.