Pediatr Rheumatol Online J. 2021;19(1):49.
Claudia Bracaglia, U.O.C. di Reumatologia, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma
La linfoistiocitosi emofagocitica (HLH) è una patologia grave e spesso fatale, caratterizzata da una proliferazione e attivazione incontrollata di linfociti T e macrofagi con conseguente esagerata produzione di citochine, detta anche tempesta citochinica, responsabile delle manifestazioni cliniche e laboratoristiche di questa malattia. Da un punto di vista eziologico si distinguono una forma primaria, o familiare, caratterizzata da un difetto genetico che determina una disfunzione del sistema immunitario, e una forma secondaria, o reattiva, che si manifesta come conseguenza di infezioni, neoplasie, malattie autoimmuni o senza un trigger identificabile.
Negli ultimi anni sono stati condotti diversi studi volti ad identificare le citochine coinvolte nella patogenesi dell’HLH ed è stato dimostrato come molte di queste citochine siano attivate tramite il segnale di trasduzione delle janus chinasi (JAK).
La terapia dell’HLH si basa sull’uso di immunosoppressori a largo spettro, quali glucocorticoidi e ciclosporina, e chemioterapici come l’etoposide. Pertanto, farmaci efficaci ma meno tossici sarebbero di estrema utilità per il trattamento di questa patologia.
Ruxolitinib è un inibitore di JAK di tipo 1/2 e blocca il segnale a valle della pathway di alcune citochine come interferone-gamma (IFN-g), IL-2 e IL-6, riducendo quindi la risposta infiammatoria indotta da queste citochine, che è noto abbiano un ruolo importante nell’HLH.
In questo studio gli autori hanno confrontato un gruppo di pazienti pediatrici con HLH secondaria trattati con ruxolitinib (gruppo R) con un gruppo di pazienti con HLH secondaria trattati con la terapia convenzionale (desametasone ed etoposide con o senza ciclosporina) (gruppo C). Nel gruppo R ruxolitinib è stato aggiunto alla terapia che non si era dimostrata efficace in 7 pazienti, mentre in 4 è stato utilizzato come farmaco di prima linea subito dopo la diagnosi di HLH.
Entrambi i gruppi erano costituiti da 11 pazienti. Nel gruppo R, 8 casi di HLH (72.2%) erano secondari ad infezioni, 5 ad EBV, 1 ad HBV, 1 a CMV e 1 ad influenza, mentre gli altri 3 casi erano secondari a patologie autoimmuni, 2 ad artrite idiopatica giovanile sistemica (AIGs) ed 1 a malattia di Kawasaki. Nel gruppo C, 4 casi (36.4%) erano secondari ad infezioni, 2 ad EBV e 2 a virus parainfluenzali, mentre 7 casi erano secondari a patologie autoimmuni, 6 ad AIGs ed 1 a lupus eritematoso sistemico.
I pazienti nel gruppo R che, dopo il trattamento con metilprednisolone, continuavano ad avere febbre, hanno presentato defervescenza dopo l’inizio del trattamento con ruxolitinib, significativamente maggiore rispetto ai pazienti del gruppo C.
Inoltre, i pazienti del gruppo R con grave coinvolgimento d’organo, in particolare epatico e del sistema nervoso centrale, hanno presentato un miglioramento clinico dopo il trattamento con ruxolitinib. I valori di globuli bianchi e fibrinogeno sono gradualmente aumentati, dopo il trattamento con ruxolitinib, mentre quelli di ferritina e IL-2R si sono progressivamente ridotti e la differenza di tali parametri nei due gruppi di pazienti era significativa rispetto a prima del trattamento. A distanza di 1 settimana ed 1 mese dopo il trattamento con ruxolitinib i valori dei globuli bianchi nel gruppo R hanno mostrato un miglioramento statisticamente significativo rispetto a quelli del gruppo C (P1w = 0.037, P1m = 0.002), mentre non c’erano differenze significative nei livelli di ferritina fra i due gruppi di pazienti (P1w = 0.398, P1m = 0.064). Sebbene non ci fossero differenze significative anche tra i valori di fibrinogeno e IL-2R nei due gruppi una settimana dopo il trattamento, questi valori hanno mostrato un miglioramento significativo nel gruppo R rispetto al gruppo C dopo 1 mese.
I glucocorticoidi utilizzati in entrambi i gruppi sono stati somministrati alla dose equivalente di metilprednisolone e sono stati somministrati ad una dose più bassa nel gruppo R rispetto al gruppo C. Ad 1 e a 2 mesi dalla dimissione, la dose orale di metilprednisolone in entrambi i gruppi era significativamente più bassa rispetto alla dose al momento della dimissione (F = 60.536, P < 0.001). Confrontando poi i due gruppi, la dose media di metilprednisolone nei pazienti del gruppo R era significativamente più bassa rispetto a quella nei pazienti del gruppo C (F = 29.756, P < 0.001).
Per quanto riguarda la sicurezza, tutti i pazienti hanno ben tollerato ruxolitinib, non è stato necessario in nessun caso ridurre la dose o sospendere il farmaco. I pazienti non hanno presentato effetti collaterali rilevanti; un solo paziente ha mostrato dopo il trattamento un modesto rialzo delle transaminasi che si è risolto rapidamente.
I pazienti sono stati seguiti in follow-up per un periodo medio di 2 anni e 4 mesi. Nei pazienti del gruppo R, ruxolitinib è stato sospeso dopo 3 mesi di terapia. Un paziente di questo gruppo nel periodo di follow-up ha presentato febbre ed artrite per cui è stata posta diagnosi di artrite idiopatica giovanile ed è stata avviata terapia con tocilizumab con beneficio. Nel gruppo C, 3 pazienti con AIGs hanno presentato una riacutizzazione della malattia di base dopo la riduzione dei glucocorticoidi con la comparsa di febbre e artrite, tali sintomi sono regrediti dopo l’inizio del trattamento con tocilizumab.
In questo studio gli autori hanno riportato come ruxolitinib possa essere efficace nel trattamento dei pazienti pediatrici con HLH e possa essere utilizzato come farmaco di prima linea consentendo una riduzione della dose di glucocorticoidi. Inoltre il trattamento con ruxolitinib appare migliorare i sintomi dovuti all’infiammazione sistemica e il coinvolgimento del SNC nei pazienti con HLH refrattaria.
Ovviamente questo studio ha dei limiti significativi, in primo luogo perché retrospettivo e poi perché è limitato ad un piccolo numero di pazienti. Sicuramente in futuro, saranno necessari studi prospettici su una casistica più ampia per confermare la sicurezza, il dosaggio ottimale, la durata del trattamento, le modalità di sospensione, gli effetti a lungo termine e l’efficacia di ruxolitinib nelle HLH secondarie a cause diverse.
Inoltre il fatto che ruxolitinib consenta di ridurre la dose cumulativa di glucocorticoidi, lo rende un farmaco in grado di sostituire parzialmente i glucocorticoidi e di divenire un potenziale trattamento di prima linea per l’HLH, consentendo una normale crescita e un regolare sviluppo dei bambini.